Strano come la maternità ci trasformi. Corpo, priorità (scala dei valori), idee, credenze, timori e speranze sono alterati per sempre man mano che passano i mesi. Curare un bambino risulta più logorante di quanto avremmo mai potuto immaginare quando accarezzavamo quella pancia in crescita, facevamo piani, e dicevamo cose tipo “Io non farò mai...” o “Mio figlio non farà mai...”. La realtà riesce a cancellare tutte queste teorie “pre-bambino”, mentre ci indottrina nel gruppo di “Quelli che sanno com'è, perché ci sono già passati”. Per questo mi sono sentita furiosa una mattina quando ho letto in una rubrica una lettera firmata Arrossita.

Arrossita scriveva di sua cognata che l’aveva messa in imbarazzo col suo (ORRORE!) allattare al seno in un luogo pubblico. Arrossita spiegava che stavano mangiando in un Fast Food quando questa cognata aveva tirato fuori un seno ed iniziato a dar da mangiare al suo bambino. Altri nel ristorante erano ovviamente inorriditi e Arrossita sperava che il responsabile del ristorante sarebbe venuto fuori a chiedere all’allattatrice errante di smettere, ricoprire il seno e lasciare il ristorante… ma niente. Arrossita era umiliata. Sosteneva che la persona colpevole era laureata e avrebbe dovuto sapersi comportare meglio. Arrossita ammetteva anche di aver allattato i suoi figli, ma solo in privato. Raccontava che lei era sempre andata in un’altra camera per allattare i suoi figli. Chiedeva un commento su questo dilemma dell’allattamento. La risposta naturalmente era che questa donna che allattava avrebbe potuto ben essere più discreta, e venivano menzionati modi per poterlo fare.

Fin qui poteva ancora andar bene.
Ma la frase seguente era: “Allattare è meglio se fatto in privato”. Un altro punto per la “Squadra del Retrobottega”! Era una chiamata alle armi.
In quel periodo stavo allattando mio figlio Morgan, di quattro mesi, allattato esclusivamente al seno, e così mi sentivo nell’occhio del ciclone per quanto riguardava l’allattamento in pubblico. Nei giorni della mia gravidanza ero stata una vera sostenitrice del “retrobottega”. Capivo il piano di gioco, cioè tenere l’allattamento lontano dalla vista degli altri, per la tranquillità di madre, bimbo, famiglia e soprattutto della “Gente” e, nella mia ignoranza “pre-bimbo”, ho iscritto anche mio marito alla squadra. Avevamo tutti letto libri e conoscevamo tutto quello che c’era da conoscere sull’allattamento, meno che… la pratica. Eravamo completamente d’accordo: non avrei allattato mio figlio in altri luoghi se non in un’altra stanza...
Circa due settimane di sforzi per dare da mangiare a richiesta al mio bimbo mi avevano fatto dubitare della mia lealtà alla squadra. Mentre passavano i giorni, cominciavo a rendermi conto che questa squadra richiedeva molta dedizione. Avevo iniziato a mettere in dubbio il piano di gioco ogni volta che dovevo lasciare la stanza e la conversazione, sacrificando me stessa affinché il mio bambino potesse mangiare. Avevo continuato a dubitare ogni volta che stringevo a me il bambino in un caldo e puzzolente gabinetto pubblico, sperando che l’odore non facesse star male entrambi, e solo per non far vedere alla gente che allattavo nel ristorante. L’ambivalenza continuava a crescere mentre, accaldata e sudata, allattavo chiusa in macchina perché il centro commerciale non aveva nulla che somigliasse ad “un’altra stanza”. Ero una neo-mamma bisognosa, da parte degli adulti, della compagnia e della rassicurazione che stavo facendo del mio meglio per mio figlio; ma il metodo di “allattare nel retrobottega” mi privava di entrambe le cose. Molto era successo, nei 30 - 45 minuti che in svariate occasioni avevo buttato via a cercare la privacy: la conversazione era andata avanti senza di me, oppure il mio piatto si era raffreddato o, nel frattempo, avevo perso qualche occasione. A volte il bimbo diventava sempre più isterico mentre io cercavo l’esclusivo “retrobottega”.

Una sera mentre ancora una volta ero fuori in macchina perché il bagno del ristorante era occupato, mi sono resa conto che mi stavo obbligando da sola a seguire questa inutile regola di privacy senza avere alcun valido motivo. Se avessi scelto di allattare artificialmente, mio figlio ed io saremmo stati benvenuti. Ma perché, se avevo scelto il meglio per mio figlio, stavo soffrendo inutilmente? Quella sera decisi di imparare ad allattare in pubblico discretamente e lasciare che il pubblico fosse un po’ a disagio. Ho tirato fuori i miei camicioni abbondanti per l’allattamento, fatti su misura per il pubblico, e mi sono data da fare per insegnare a Morgan ad attaccarsi al seno velocemente. Ho imparato a sbottonare le camicie dal di sotto per espormi meno, e a portare un leggero foulard o una copertina da usare quando si attaccava o quando cambiava lato. Ho imparato che potevo dargli da mangiare discretamente e potevamo restare dove eravamo quando gli veniva fame. Non dovevamo nasconderci. Potevamo essere a nostro agio entrambi, potevo godermi il tempo parlando, facendo visita ad amici, mangiando nel miopiatto quando era ancora caldo. Ho acquistato fiducia nella mia capacità di fare la mamma soddisfacendo immediatamente i bisogni di Morgan e allattandolo a richiesta. La possibilità di offrirgli da mangiare quando aveva fame lo teneva tranquillo, e la gente faceva commenti sulla sua indole calma e felice. Ma la gente sorrideva alla vista di una mamma con un bambino solo finché non si rendeva conto che lo stavo allattando. Allora tutti sparivano più in fretta che potevano per il loro imbarazzo. La mia famiglia, eccetto mio marito, mi dava poco sostegno. Mia suocera cercava di evacuare la stanza non appena vedeva Morgan in una posizione da allattamento. Mio padre diventava nervoso e ansioso ogni volta che sentiva la parola “allattare”. Mia sorella mi guardava incredula e sprezzante, con un imbarazzo che solo una diciottenne può mostrare quando dice: “Non starai mica per allattare, vero?”. Sorridendo dolcemente, la mia migliore amica mi aveva detto che, se per caso avesse allattato, non l’avrebbe “mai fatto con altri intorno”.
Nonostante le sfide ho continuato ad allattare discretamente. Non avrei avuto un particolare motivo per raccontare questo aspetto della storia mia e di Morgan, senonché un giorno particolarmente orribile “la Gente” aveva dato un colpo devastante alla fiducia che avevo in me stessa: mentre stavo allattando mio figlio sola su una panchina, una famiglia si era avvicinata e ci aveva guardati. “Guarda mamma” aveva detto la bimba “vedi bimbo, c’è un bimbo!”. La mamma si era voltata nella direzione che indicava la bimba, e aveva sorriso quando aveva visto me ed il bambino. Dopo averci osservato un paio di secondi si era resa conto che stavo allattando, allora la sua espressione era cambiata, aveva preso con forza la mano della figlia, aveva spinto il marito ed il figlio avanti a lei e farfugliato forte e in modo furioso: “Non guardarla, sta allattando!”. Mi sentivo umiliata, imbarazzata, triste, arrabbiata ed incompresa. Volevo sparire. Volevo gridare “Sto solo dando da mangiare al mio bimbo. Sto facendo quello che credo sia la cosa migliore per lui, non è una cosa disgustosa o pervertita, sta ricevendo il miglior cibo possibile per lui in questo momento, e nello stesso tempo stiamo stringendo un forte legame.” Mi sono resa conto che là fuori c’era molta gente che non capiva affatto l’allattamento. Gente che non si rendeva conto che si trattava della miglior fonte possibile di nutrimento per un bambino. Mi sono resa conto che la Squadra del Retrobottega aveva molti giocatori che forse non avevano mai sentito parlare della squadra di mamme e di bimbi che affrontavano invece con coraggio la furia pubblica per fare ciò che credevano il meglio. Mi sono resa conto che volevo che vincesse la NOSTRA squadra.

Avendo acquistato questa ricchezza d'esperienza nel fare la madre e allattare, desideravo raggiungere tutte quelle persone così contrarie ad allattare un bimbo in pubblico. Volevo dire loro - tutte quelle madri, quelle suocere, quei suoceri, quei padri e gli altri amici e membri assortiti della famiglia - che capivo il loro disagio e la loro confusione. Volevo spiegare loro perché ritenevo che la frase "L'allattamento è meglio si svolga in privato" fosse stata pensata da una persona dalla mentalità molto chiusa. Volevo che si rendessero conto che il retrobottega non è il posto migliore per le mamme e i bambini, che invece hanno bisogno di stare con gli altri anche nel momento dell’allattamento, che può essere messo in pratica discretamente, non solo per comodità e benessere mentale, ma con l’ulteriore vantaggio di educare "la Gente".

Recentemente è stata emanata una legge in Florida che permette l'allattamento in pubblico. Una parte di me è stata felice per il fatto che la legge sia stata sancita, ma d’altra parte mi chiedevo perché ciò si fosse reso necessario. Non è un diritto inalienabile della madre, quello di dar da mangiare al proprio bambino? Le madri dovrebbero poter allattare i loro bambini in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo.

Certo "Arrossita" e gente come lei continueranno a scrivere lettere in cui condannano le loro parenti per queste situazioni “scabrose”. Le loro lettere saranno stampate e pubblicizzate, e la Squadra del Retrobottega farà il tifo. Ma le grida non saranno più tanto forti. Dopotutto, anch’io sono passata all'opposizione.

Traduzione di Sonia Peterson