Di Shera Lyn Parpia e Antonella Sagone, da Da mamma a mamma n. 44, estate 1996
Quanti limiti sentiamo porre all'allattamento!
Sono diversi, e spesso seguono la congiunzione avversativa "MA":
"L'allattamento è la cosa migliore per il bambino, ma..."
- MA bisogna vedere se avrò latte, se il mio latte andrà bene.
- MA richiede troppo tempo.
- MA richiede molti sacrifici (impegno, alimentazione, fatica, sonno) da parte della madre, del padre, dei fratelli.
- MA non prima di ...x ore dopo il parto, ... x ore dopo l'ultima poppata.
- MA è un lusso al giorno d'oggi.
- MA non è possibile quando la madre lavora.
- MA non si può fare quando la madre ha alcuni "difetti fisici".
- MA non si può fare se la madre deve assumere farmaci.
- MA non si può tenerlo sempre attaccato.
- MA c'é un limite oltre il quale non serve.
- MA c'è un limite oltre il quale fa male.
e, nello stesso tempo,
- la formula artificiale è così comoda, e in fondo è quasi ugualmente buona...
Attualmente, quando una donna decide di allattare avrà sicuramente valutato in parte queste problematiche, nei limiti in cui le informazioni disponibili sono veritiere, precise e aggiornate. La donna che arriva dalle Consulenti de La Leche League prima o durante la gravidanza solitamente desidera ottenere risposte riguardo a molti di questi dubbi e domande.
Quelle che seguono sono solo alcune delle aree nelle quali la donna di oggi sente dei limiti alla possibilità di allattare al seno:
- Questioni mediche
- Sessualità
- Aspetti psicologici
- Pressione sociale
- Modelli culturali
Questioni mediche. Troppe donne, purtroppo, non mettono in dubbio le voci, quasi sempre errate, che indicano questi problemi come ostacoli insormontabili per l'allattamento. La scarsa conoscenza di molti operatori, la cui esperienza si è formata su generazioni di bambini allattati artificialmente, aiuta la diffusione di pregiudizi popolari. Sappiamo, alla luce di ricerche prolungate e recenti, che il caso in cui la madre non dovrebbe allattare per ragioni mediche o ereditarie è l'eccezione e non la regola.
Uso di farmaci. Ogni mese vengono pubblicati studi sui farmaci; ormai sappiamo che la maggior parte di questi, così come degli anestetici, è compatibile con l'allattamento. Ci sono pochissimi farmaci veramente incompatibili con l’allattamento. Se un farmaco è stato assunto durante la gravidanza, è probabile che si possa continuare ad assumerlo durante l’allattamento poiché la quantità che passa nel latte è solitamente nettamente inferiore a quello che passa nell’utero. Molte volte un farmaco incompatibile può essere sostituito con un altro non controindicato; ed è da ricordare che l'uso saltuario di alcuni farmaci non costituisce un pericolo anche quando l'uso continuo sarebbe una controindicazione per l'allattamento. Molti fattori devono essere presi in considerazione quando la questione è se assumere il farmaco e/o sospendere l'allattamento: da un lato l'età e il peso del bambino, il dosaggio e il modo di somministrazione del farmaco, ecc.; dall’altro i rischi (ad esempio in caso di predisposizioni allergiche) dell’assunzione di formula artificiale.
Malattie infettive. Nel caso in cui la madre manifesti una malattia infettiva, possono sorgere dei dubbi se il continuare ad allattare possa mettere a rischio il bambino di contrarre l’infezione. Anche qui la questione va valutata in base a elementi come, da una parte, la gravità della malattia, il fatto se la madre sia in fase acuta o portatrice sana, la trasmissibilità attraverso il latte materno e, dall’altra parte, l’età e lo stato di salute del bambino, la possibilità di proteggerlo in altri modi, il fatto che egli sia già stato o meno a contatto con l’agente infettivo. Fermo restando che bisogna valutare caso per caso il rapporto fra rischi e benefici, ci sono da fare alcune considerazioni generali. Prima di tutto il latte della mamma, anche se in alcuni casi può essere un modesto veicolo di infezioni materne, è contemporaneamente la fonte primaria di protezione, grazie ai suoi fattori antivirali ed antibatterici (sostanze battericide, immunoglobuline e linfociti) che forniscono al bambino l’immunità passiva dalle infezioni, in particolare da quelle a cui la stessa madre è stata esposta; secondo, va considerato che spesso il bambino è comunque esposto al rischio di contrarre l’infezione materna per altre vie, durante il parto o nel contatto quotidiano, e in questo caso la mancata protezione immunitaria del latte artificiale può essere di per sé un fattore di rischio.
Problemi anatomici. Esistono alcune conformazioni anatomiche della madre (capezzolo introflesso) o malformazioni del neonato (palatoschisi) che richiedono un aiuto per poter allattare; tuttavia l’allattamento non è impossibile. Durante la gravidanza la madre può portare degli appositi dischetti, oppure fare speciali manipolazioni del capezzolo, per consentirne l’estroflessione; il seno piccolo non è un ostacolo all’allattamento, e spesso anche in caso di chirurgia al seno si può allattare. Il neonato con problemi di labio-palatoschisi può poppare al seno, ed esistono anche, quando necessario, delle protesi provvisorie che lo aiutano al momento della poppata.
Controindicazioni materne. La maggioranza di esse sottende l’idea che allattare sia di per sé una condizione di stress a cui l’organismo materno viene sottoposto; questa idea deriva in parte dal fatto che nella nostra società la maternità è diventata un evento raro, e viene portata avanti con più impegno personale e meno naturalezza di una volta.
Spesso non è l’allattamento di per sé ad essere stressante, ma lo sono le condizioni entro le quali oggigiorno si impone alle madri di condurlo; in effetti nella nostra società, molto poco a misura di bambino, una neo-madre è spesso stressata, a prescindere dal modo in cui alimenta suo figlio. Le reali controindicazioni mediche all’allattamento sono rarissime, e specialmente nel mondo occidentale, dove le donne sono ben alimentate ed assistite, il fatto di allattare costituisce per il fisico materno un impegno senz’altro inferiore a quello di una gravidanza. L’allattamento va ridefinito come il proseguimento biologico della gravidanza e del parto, e quindi il modo più naturale ed armonico di effettuare gradualmente il ritorno alle condizioni biofisiche precedenti alla maternità.
Controindicazioni pediatriche. A parte rare dismetabolie (galattosemia), l’alimento specie-specifico, fatto su misura per il neonato, è il latte della mamma. I bambini non possono essere allergici al latte della propria madre; anche nei rarissimi casi del cosiddetto "ittero da latte materno" non ci sono rischi per la salute del bambino, ed è consigliabile allattare piuttosto che somministrare formula artificiale. Se il bambino è ammalato, il latte materno, in quanto alimento più facile in assoluto da assimilare, non stressa l’apparato digerente e permette una ripresa più rapida. Lo stessa considerazione va fatta nel caso di malattie ereditarie o congenite, in cui l’allattamento esclusivo può aiutare la ripresa nelle fasi acute, o perlomeno frenare l’aggravamento dei sintomi. In alcune patologie tanti problemi addirittura non si manifestano fino allo svezzamento, permettendo all’organismo di rafforzarsi prima di fare i conti con la malattia.
Sessualità. La madre che supera i vari ostacoli e che riesce ad allattare lo stesso il suo bambino deve comunque farlo in un mondo che vede il seno come oggetto sessuale.
Conflitto di ruoli. Il modello di bellezza femminile che oggi viene proposto è quello della donna giovane, che non ha ancora partorito. Il ruolo accettato di sessualità è quello espresso nel rapporto con il proprio partner. Ma la sessualità femminile è anche mestruazioni, gravidanza, parto ed allattamento, tutti mediati dallo stesso insieme di ormoni, in equilibrio diverso fra di loro. Tutti questi aspetti, che non coinvolgono il partner, possono essere vissuti come anomali, e minacciosi per il rapporto di coppia. Il fatto che durante l’allattamento in alcune donne ci sia un calo del desiderio non migliora le cose, e viene considerato un fatto patologico. La donna che allatta si trova spesso a vivere in conflitto fra di loro il ruolo di donna e quello di mamma, e subisce pressioni per distogliersi dal coinvolgimento con il figlio e tornare al più presto come "prima".
È possibile allattare in pubblico? La società che utilizza il seno per vendere tutto, dalle automobili alle merendine, non riesce ad accettare che questo venga utilizzato apertamente nella sua funzione biologica. Si spingono così le donne a doversi appartare ogni volta che allattano, il che rende estremamente difficile, se non impossibile, allattare a richiesta fuori casa. Negli Stati Uniti, anche se non è vietato allattare nei luoghi pubblici, è stato necessario promuovere leggi che permettessero alle donne di farlo, e in molti paesi le madri hanno ricevuto la richiesta di smettere di allattare nei ristoranti, nei bar, nei musei. Dove il seno viene visto come oggetto sessuale, paradossalmente darlo ad un bambino appare come un uso improprio. Questo porta le mamme a restare in casa con il bambino molto di più di quanto vorrebbero, ed a vivere quindi il periodo di allattamento come una specie di reclusione forzata.
Vedere allattare può suscitare imbarazzo. L’intimità che traspare da una mamma e un bambino in allattamento può venire vissuta come una provocazione. La stretta dipendenza reciproca fra i due si contrappone all’impressione che essi siano autonomi dal resto del mondo, "bastino a se stessi". Questo fa paura alla nostra società che pure tanto esalta un certo tipo di indipendenza. Questo "effetto scandalo" diventa molto pesante per la donna (e per il bambino, che non sa nulla di tutte queste faccende) quando l’allattamento si protrae oltre i primi mesi. Si esercitano quindi pressioni per aumentare le distanze fra la mamma e il suo piccolo, per far interrompere l’allattamento appena il bambino non è più un neonato e a stento riesce ad ingerire alimenti del tutto omogeneizzati. A volte la donna che asseconda la natura ed allatta "ancora" è spinta, più di prima, a nascondersi ed a tenere segreta la sua condizione di nutrice.
Il momento per terminare l'allattamento. Le pressioni per svezzare aumentano man mano che il bambino cresce; l’aspetto sensuale dell’allattamento, meno evidente con un neonato, risulta più palese con un bambino che sorride, gioca con il seno, chiede a parole di poppare. Queste scene possono turbare le persone che vi assistono, evocando in modo più o meno consapevole il fantasma dell’incesto; eppure, esse erano banali e scontate anche nella nostra cultura, fino a quando l’avvento massiccio del latte artificiale non le ha rese insolite. Su quale base si decide che è giunto il momento per terminare l'allattamento? Da Mamma a Mamma, la rivista de La Leche League, ha pubblicato decine di articoli che attestano il valore dell'allattamento del bambino oltre il primo anno. Alla luce di ricerche recenti antropologiche, psicologiche e nutrizionali risulta evidente che l'allattamento sia parte del piano della natura per i nostri figli.
Aspetti psicologici
La donna che, oggi e nella nostra società occidentale, vuole allattare, si trova sottoposta a molte pressioni e conflitti di carattere psicologico. Vive una contraddizione fra il ruolo di donna e quello di mamma, che nel proprio ambiente sono visti come competitivi fra loro; si trova a muoversi "controcorrente", seguendo con il bambino un approccio che si discosta notevolmente dai modelli culturali proposti; la capacità di autoregolazione del neonato, e la competenza materna nel comprendere e rispondere in modo appropriato ai suoi bisogni, vengono continuamente messe in dubbio. Si insinua poi paradossalmente che lo stress e l’insicurezza, generati da questo stato di cose, siano invece una conseguenza negativa dell’allattamento.
Mancanza di esperienza diretta. Le madri di oggi sono state bambine nel momento di massimo boom della formula artificiale; sono cresciute giocando con bambole accessoriate di biberon, come se questa fosse la cosa più naturale del mondo. L’allattamento è diventato sempre più raro in pubblico e nella propria famiglia d’origine, e questo priva la donna di un esempio diretto a cui riferirsi quando ha un neonato fra le braccia (anzi, il primo modello che la madre incontra è ciò che ha visto fare nel reparto di maternità). I semplici gesti di portare, consolare, allattare un bambino sono affidati al suo solo istinto, che però è confuso dai messaggi contrastanti e contraddittori che percepisce ogni giorno intorno a sé. Le informazioni trovate sui libri e provenienti dai mass media, spesso condizionati da interessi commerciali in contrasto con quelli di madri e bambini, hanno sostituito il background sociale e culturale.
Gli esperti dell’allattamento. Una certa cultura medica ed anche psicoanalitica ha finito per dipingere la maternità come una cosa complessa, difficile, rispetto alla quale è facile commettere errori e provocare danni irreparabili al proprio figlio. La competenza materna viene svalutata, e la donna facilmente viene colpevolizzata per le scelte che effettua quando segue la sua intuizione. Ella sente quindi la necessità di rivolgersi ad "esperti" più o meno qualificati, che la sollevino da una responsabilità così grave indicandole il modo "giusto" di agire in ogni circostanza. Si dimentica così che esperto è colui che esperisce, e cioè in primo luogo i protagonisti stessi dell’esperienza: la madre e il bambino.
L’ansia degli altri. La donna che ha appena partorito spesso è depressa e ansiosa, e questo viene attribuito ad un effetto della tempesta ormonale che sta subendo. Ma quanta di questa ansia è determinata da fattori socio-culturali (la sensazione di non essere in grado di controllare più la propria vita, le squalifiche ricevute dall’ambiente alla propria autostima)? E quanta di quest’ansia è in realtà trasmessa alla madre dalle persone che la circondano? Una neo-madre, in rapporto esclusivo col neonato, provoca negli altri forti reazioni emozionali, ed in assenza di una cultura che definisca la donna come competente ad occuparsi del proprio piccolo, la conseguenza può essere un comportamento ansioso del prossimo (marito, parenti, pediatra), e forti interferenze nel rapporto madre-neonato. Quando la mamma allatta al seno ciò si verifica in misura ancora maggiore, e la donna deve imparare a "tapparsi le orecchie" per non sentire i continui commenti, spesso pessimistici o allarmistici e comunque contraddittori, di tutti coloro che pensano di sapere più di lei cosa è meglio per lei e per il suo piccolo.
Pressioni sociali
Lavoro fuori casa. Le famiglie di oggi spesso hanno bisogno di due redditi per poter sopravvivere, e questo specialmente se hanno bambini. Le leggi italiane sono fra le più favorevoli all’allattamento, consentendo un periodo retribuito dopo il parto se si resta a casa con il bambino, e in seguito dei permessi di allattamento che consentono di assentarsi dal luogo di lavoro. Tuttavia queste facilitazioni di recente sono state ridotte sia sul piano dell’orario sia su quello economico, costringendo molte donne a non usufruirne per bisogno di soldi o per non perdere il lavoro. Inoltre continua a non esserci, per alcune categorie di lavoratrici autonome, alcun tipo di sostegno economico o almeno fiscale, che permetta loro di sospendere o perlomeno ridurre il lavoro durante il periodo dell’allattamento. Tutto ciò può generare l’opinione che l’allattamento sia un lusso che poche si possono permettere; gli alti costi, a fronte del reddito di un lavoro fuori casa, dell’allattamento artificiale (acquisto della formula artificiale, malattie più frequenti, baby sitter) rientrano in un sistema di vita universalmente diffuso, e quindi non vengono annotati facilmente.
Aspettative sociali. Ci si aspetta che la donna che è diventata madre non modifichi affatto il suo stile di vita, ma riprenda al più presto il ritmo e l’organizzazione delle giornate precedenti alla maternità. Spesso il bambino viene vissuto o definito come un peso, un qualcosa che lega e che estrania dal contesto sociale, richiedendo sacrifici alla madre (ad es. diete particolari) e a tutta la famiglia (condizionando tutti agli orari delle poppate e dei sonnellini del bambino, impedendo di frequentare determinati luoghi perché "inadatti" al neonato, ecc.). Il biberon, potendo essere dato al neonato da chiunque, viene poi proposto come la soluzione per "liberarsi" di questo scomodo impedimento.
Parte del problema nasce dall’equivoco che il neonato abbia bisogno di seguire una vita regolare e monotona, cambiando poco ambiente e mangiando e dormendo ad ore prefissate. Questa idea non ha nessun fondamento biologico: i neonati cambiano continuamente i loro ritmi, e si adattano con facilità ai tempi ed agli spostamenti degli adulti, purché possano stare in contatto costante con la mamma ed allattati quando ne manifestano il bisogno.
Una società a misura di adulto. L’individuo per il quale è pensata e strutturata la nostra società è adulto, giovane, alto, sano e possibilmente maschio. L’organizzazione, gli spazi fisici e gli orari dei servizi, dei trasporti, degli uffici pubblici, delle aree commerciali, dei luoghi di svago sono concepiti e realizzati solo per adulti senza bambini al seguito, o al limite solo per bambini forniti di biberon. Trovare un posto dove cambiare un pannolino, ma ancora di più dove sedersi ed allattare quando il bambino piange, spesso è molto difficile. Questo scoraggia le donne dal muoversi insieme al bambino, spingendole o a svezzarlo per poterlo lasciare a qualcun altro, o a chiudersi in casa con lui.
Modelli culturali. Questo è l’aspetto che più degli altri ci aiuta capire che cosa sia effettivamente il limite di fondo, che comprende tutti gli altri, anzi, che è la fonte di tutti gli altri limiti: il limite vero è nella nostra società, nella cultura del biberon e della separazione.
Spesso si sente dire che bastano tre/sei/otto mesi di allattamento, senza precisazioni ulteriori; o che il bambino "è grande abbastanza": grande per che cosa? Per non aver più bisogno del latte materno dal punto vista nutrizionale? Immunologico? Per non aver più bisogno del contatto stretto e frequente? Alcuni articoli pubblicati anche su Da Mamma a Mamma sono stati dedicati a questo argomento, e da questi risulta abbondantemente chiaro che l'allattamento protratto ben oltre l'anno non solo è la cosa migliore dal punto di vista della salute fisica ed emotiva del bambino, ma che ha solide basi evoluzionistiche. È anche evidente che la donna che allatta ne trae benefici notevoli; insomma, l'allattamento è una cosa giusta e naturale. Ma non è sempre facile; ci sono molti ostacoli anche nella conduzione quotidiana dell'allattamento.
La cultura del biberon e del distacco. Che cosa significa per un bambino che nasce al giorno d'oggi? In termini pratici, significa che, quando nasce, non viene automaticamente attaccato al seno, lo si tiene nella nursery dell’ ospedale dove in genere, all’insaputa della madre, riceve biberon integrativi (che spesso confondono il suo istinto di suzione), e viene portato dalla mamma a orari, che non hanno niente a che vedere con i suoi ritmi di fame.
Fin dalla nascita il bambino viene confrontato con altri allattati al biberon... Gli orari, le tabelle, le quantità prestabilite per il bambino medio allattato artificialmente vengono imposte anche al bambino allattato al seno. Il bambino diventa "proprietà" dell'ospedale e delle puericultrici, la mamma invece è sostituibile, sicuramente non indispensabile. Il risultato sul piano psicologico, sia per il neonato sia per la madre, è facilmente immaginabile. Perché succede tutto questo? Come tutti i problemi che incontriamo per quanto riguarda l'allattamento materno, succede perché per molti versi, e spesso inconsciamente, la norma è diventata quella dell'allattamento al biberon.
Quando "la cosa normale" è allattare al biberon, che cosa succede alla donna che allatta "al seno"? Si trova a misurarsi con dei criteri che si riferiscono a una situazione che non è comparabile con la sua. Questi criteri non sono espliciti, ma sottintesi e dati per scontati; i confronti fra l'allattamento al seno e l'allattamento artificiale sono costanti ma poco evidenti alla maggior parte delle mamme. Si aspettano di allattare con gli stessi orari e per la stessa durata dei bambini allattati artificialmente. Si trovano a fare la doppia pesata, perché il volume del latte che il bambino ingerisce è ritenuto di primaria importanza. Non avendo nessuna idea sul meccanismo della domanda e dell’offerta, rimangono sempre con il dubbio che il latte sia insufficiente. Confrontano il seno con il biberon, il che tradotto in pratica significa che pensano che il seno debba avere tempo per riempirsi, quindi che debbano aspettare un certo numero di ore, e che alla fine della poppata sia vuoto come un biberon vuoto; che il latte sia sempre uguale in tutti i sensi (colore, tempo richiesto per "finirlo", proprietà nutritive e non) a quello del biberon. Si trovano a pesare e misurare il figlio per collocarlo su tabelle e curve di crescita che sono state tarate in base alla crescita di bambini allattati artificialmente. Vedono fotografie di bambini con i biberon e quando attaccano il figlio al seno lo tengono nella medesima posizione, scomoda per tenere il neonato al seno e spesso foriera di ragadi e dolori ai capezzoli. Si aspettano che il figlio abbia l'aspetto fisico dei bambini allattati artificialmente che vedono intorno a sé e nelle immagini pubblicitarie. Presumono che il bambino non solo si attenga a un orario ma che diminuisca il numero delle poppate col passare delle settimane; perciò, quando avviene uno scatto di crescita e il bambino chiede più spesso di poppare, pensano di aver perso il latte.
Il latte materno e la formula artificiale non sono comparabili sotto nessun aspetto.
Il primo si assimila molto più in fretta, e quindi è normale che gli intervalli fra le poppate siano molto più brevi; inoltre la formula artificiale ha più scarto, il che significa che è necessaria una quantità maggiore per ottenere un apporto nutritivo simile a quello materno. Quest’ultimo, infine, cambia la sua composizione anche nel corso della poppata, permettendo il bambino di esercitare una selezione a seconda se ha più "sete" o più "fame".
Il bambino nutrito col biberon aumenta sempre la quantità di latte via via che cresce; invece quello allattato tende a mantenere quantità praticamente costanti nel tempo e a volte anche a diminiurle perchè la qualità del latte si adegua alla crescita del bambino.
Il bambino nutrito artificialmente ha delle feci diverse dal bambino che prende il latte materno e questo può essere fonte di preoccupazione per una madre non informata, che pensa che il piccolo abbia la diarrea; inoltre, poiché il latte materno viene quasi totalmente assimilato, il bambino allattato dopo le prime settimane potrebbe andare di corpo molto meno spesso di uno nutrito artificialmente.
La cultura della separazione scoraggia l'attaccamento che l'allattamento invece richiede e facilita. Perciò la mamma si trova in difficoltà quando vede che il bambino non può essere facilmente lasciato ad altri, anzi, spesso non desidera lasciarlo grazie all’intenso coinvolgimento che l'allattamento materno favorisce. Così si trova in contrasto con le persone che ritengono che debba "trovarsi uno spazio", "avere una vita propria" o "non trascurare il marito o il lavoro". La naturale dipendenza e l'ovvio bisogno di un bambino di essere a contatto fisico con la mamma non sono accettati dalla nostra cultura; non si ha fiducia nella spinta autonoma del bambino a crescere, si ritiene che una persona per crescere ed emanciparsi debba esservi costretta, e che i traumi siano necessari alla maturazione dell’individuo. La madre che è disponibile e sensibile alle richieste del bambino viene perciò messa in guardia sulle conseguenze del "dargliele tutte vinte" o "viziarlo".
Così facile, così difficile. L’allattamento materno è in teoria quanto di più semplice e pratico si possa immaginare: il bambino è con la sua mamma, e se piange o ha qualcosa, lo si attacca al seno, e tutto torna a posto. Non servono attrezzature o conoscenze particolari, il latte è gratuito ed a portata di mano nella quantità e qualità necessaria in ogni momento, e il bambino è generalmente sano, tranquillo e soddisfatto. Eppure riuscire a realizzare un allattamento così diviene spesso, nella nostra società, una specie di corsa ad ostacoli, costellata di impedimenti concreti e di boicottaggi occulti.
La cultura della separazione scoraggia negli stessi termini la mamma che tiene molto in braccio il bambino, quella che lo allatta "troppo" e quella che desidera tenere il bambino nel letto con sé; e la sollecita a metterlo a dormire in un'altra stanza. Invece il sonno condiviso, oltre ad essere un modo comodo per non alzarsi ogni volta, è spesso essenziale per la riuscita dell'allattamento.
La cultura del distacco ha anche sviluppato dei modi di "portare" i bambini (carrozzina, passeggino) che potrebbero essere abbastanza compatibili con l'allattamento artificiale ma che non si sposano bene con la pratica dell'allattamento. Il biberon può essere somministrato benissimo a un bambino in carrozzina, ma quest'ultima risulta d'ingombro quando la mamma desidera tirar su il bambino per allattarlo. Quando la mamma esce con il figlio si trova in un mondo dove dare il biberon è facile, ma per chi deve allattare tutto diventa complicato.
L’allattamento diventerà mai la norma culturale? Ci vorranno più che leggi, ricerche e pronunciamenti autorevoli di esperti di puericoltura per cambiare le cose. Le donne che sanno quanta differenza l’allattamento possa fare nella vita propria e dei loro neonati saranno quelle che cambieranno le norme della nostra cultura. Forse chi sta allattando il suo bambino apertamente (ma discretamente) a una festa di famiglia, sulla panchina del parco, o davanti ai compagni del figlio maggiore, non ha mai pensato di star facendo una dichiarazione pubblica, anche se involontaria. Il suo esempio dimostra agli altri che l'allattamento è importante, e che può essere realizzato da donne normali che vivono nel mondo reale. Troppo spesso diventa automatico assicurarsi che "non si veda niente" o che "non lo sappia nessuno" quando si tratta di allattamento prolungato o in pubblico.
Riscoprire l’ovvio. Siamo mammiferi: allattare è il modo semplice e naturale attraverso il quale la natura ha assicurato il conforto, la protezione e la soppravvivenza dei piccoli e quindi dell’intera specie. Ma il mondo in cui oggi viviamo ci ha talmente allontanato dal nostro continuum biologico ed evolutivo, che risulta necessario riscoprire l’ovvio, e discutere per riaffermare la validità di affermazioni che, fino a poche generazioni fa, erano un semplice dato di fatto:
- Il posto giusto per una mamma e il suo neonato è l’una accanto all’altro.
- Le mamme hanno diritto ad essere materne, cioè affettuosamente attente ai bisogni dei loro piccoli.
- I bambini non hanno bisogno di ricevere regole, ma rispetto per i loro ritmi ed esigenze che cambiano col tempo e sono diversi a seconda delle situazioni.
- i bambini sanno autoregolarsi, e sono spontaneamente portati verso i comportamenti e le esperienze che li aiutano a crescere e a sviluppare un rapporto positivo con la realtà e con gli altri.
- Le mamme sanno comprendere bene, e i bambini sanno esprimere chiaramente, quello di cui hanno bisogno per crescere e stare bene: se piangono, c’è una necessità che va soddisfatta, e, se sorridono beati, vuol dire che si sta facendo la cosa giusta.
- La frustrazione non è l’unico modo, e nemmeno il più efficace, per maturare.
- La felicità non ha mai fatto male a nessuno.
Con la collaborazione di Anna Lowenstein e Isabella Repetto